2014 / Domenica 25 Maggio

Domenica 25 maggio

VI Domenica di Pasqua - Anno A

Anche il vangelo di oggi, come quello della scorsa domenica, è tratto dal primo dei tre discorsi di addio pronunciati da Gesù durante l’ultima cena.
I discepoli hanno capito che Gesù sta per lasciarli, sono tristi e si chiedono come potranno continuare a essergli uniti e ad amarlo se egli se ne va. Gesù promette di non lasciarli soli, senza protezione e senza guida; dice che pregherà il Padre ed egli «invierà un altro Paraclito» che rimarrà per sempre con loro. È la promessa del dono di quello Spirito Santo che Gesù possiede in pienezza (Lc 4,1.14.18) e che sarà effuso sui discepoli.
Gesù chiarisce che lo Spirito può essere accolto solo da coloro che sono in sintonia con lui, con i suoi progetti, con le sue opere di amore. Il mondo non può riceverlo.
Chi è questo mondo al quale non è destinato lo Spirito? I pagani, i lontani, chi non appartiene al gruppo dei discepoli, i membri di altre religioni? Per mondo Gesù non intende le persone, ma quella parte del cuore dell’uomo - di ogni uomo - in cui regna la tenebra, il peccato, la morte. Là dove si celano odi, concupiscenze, passioni sregolate…lì è presente il mondo, con il suo spirito, opposto a quello di Cristo. Lo ricorda Paolo ai corinzi che si lasciavano guidare dalla sapienza degli uomini: “Noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio” (1 Cor 2,12).
Lo spirito riceve due nomi. È chiamato Paraclito e Spirito della verità. Sono le due funzioni che egli esercita nei credenti. Paraclito è un termine preso dal linguaggio forense e indica colui che è chiamato accanto.
Anticamente ogni imputato doveva difendersi da solo, cercando di portare testimoni che lo scagionassero dalle accuse. Accadeva a volte che qualcuno, pur non essendo colpevole, non riuscisse a provare la propria innocenza oppure che, pur avendo commesso il crimine, meritasse il perdono. Per costui rimaneva un’ultima speranza: che in mezzo all’assemblea ci fosse un uomo onorato da tutti per la sua integrità morale e che questa persona irreprensibile, senza pronunciare alcuna parola, si alzasse e andasse  a porsi al suo fianco. Questo gesto equivaleva a un’assoluzione. Nessuno più avrebbe osato chiedere la condanna. Questo “difensore” era chiamato “paraclito”, cioè “ colui che è chiamato a fianco di chi si trova in difficoltà”.



GUIDA SEMPLICE ALLA BIBBIA  (17)


LE FESTE EBRAICHE

L’anno è cadenzato da feste che sottolineano momenti di grande importanza.

Pasqua     (o festa del pane senza lievito - Pesach o Pesah), dal 15 al 22 aprile. Uomini e donne della Bibbia celebrano la loro liberazione dalla schiavitù d’Egitto. Durante un solenne pranzo familiare si mangia l’agnello pasquale e delle focacce di pane senza lievito ricordando gli avi che durante la loro fuga non avevano tempo di far lievitare il pane.

Festa della mietitura (o festa delle settimane - Shavuot), fine di maggio. Le genti della Bibbia ringraziano Dio per il raccolto e per le leggi ricevute nel deserto. Si festeggia 7 settimane, ossia 50 giorni, dopo Pasqua. Per questo la si chiama anche Pentecoste (che significa in greco 50).

Festa del suono, poi dell’anno nuovo (Roch haShana), metà settembre. Questo giorno è considerato l’anniversario della creazione dell’uomo. Il popolo inizia un periodo di riflessione e di penitenza che termina con il giorno dell’Espiazione, dieci giorni dopo.

Giorno dell’Espiazione (Yom Kippùr), fine di settembre. Si chiede perdono a Dio per tutti gli errori. Un capro, simbolo di tutti i peccati, veniva abbandonato nel deserto, da cui l’espressione «capro espiatorio».

Festa del raccolto (Sukkot - o festa delle capanne), inizi di ottobre. Si ringrazia Dio per la raccolta della frutta e per la vendemmia. Ricordando la protezione divina concessa agli Ebrei nel deserto, i partecipanti usano passare la giornata in capanne ornate di frasche.

Il sabato     (Shabbat) È il giorno in cui non si lavora. È sabato, settimo giorno della settimana. Il sabato comincia venerdì al tramonto.

    «Sei giorni faticherai e farai ogni lavoro, ma il settimo giorno è il sabato per il Signore tuo Dio: non fare lavoro alcuno né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bue, né il tuo asino, né alcuna delle tue bestie, né il forestiero, che sta entro le tue porte, perché il tuo schiavo e la tua schiava si riposino come te. Ricordati che sei stato schiavo nel paese d'Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso; perciò il Signore tuo Dio ti ordina di osservare il giorno di sabato».
Dt 5, 13-15.
   
    È un giorno di festa e di preghiera. Tutti si vestono con i loro abiti migliori. In famiglia ci si divide con gioia il cibo ed i dolci preparati la vigilia.

La sinagoga La sinagoga è la casa dove la comunità ebraica si riunisce per studiare la Bibbia e per pregare. Nella Bibbia il tempio di Gerusalemme è l’unico luogo di culto, di sacrificio e di perdono; ma un po’ alla volta, specie dal IV sec. a.C., le genti che abitano lontano da Gerusalemme, prendono l’abitudine di riunirsi soprattutto al sabato per studiare la Legge e per pregare insieme. Questa usanza si diffonde dappertutto, anche a Gerusalemme.
    La conduzione della sinagoga viene affidata ad un gruppo di anziani, tra i quali viene scelto il capo della sinagoga, incaricato dell’organizzazione del culto: questi designa le persone addette alle preghiere e alla interpretazione dei testi da leggere.

©2012-2024 . All rights reserved.
Do not duplicate or redistribute in any form without prior consent.
Powered by PicoPortal by FVsoftware
control panel administration | cookie policy