2013 / Domenica 22 Dicembre 2013

domenica 22 dicembre 2013

Commento al Vangelo della Domenica

Nel NT si parla poco di “sogni”, ma nel Vangelo di Matteo troviamo una eccezione. Infatti in questo Vangelo i sogni che vengono narrati sono ben sei, di cui cinque si trovano nel vangelo dell’infanzia, cioè nei primi due capitoli di Matteo. Inoltre il “soggetto” che sogna è principalmente Giuseppe, sposo di Maria. Infatti su cinque sogni menzionati nei primi due capitoli di Matteo, quattro hanno per soggetto Giuseppe e uno i magi che vengono dall’oriente per adorare
il bambino. Riassumendo: dei sei sogni narrati da Matteo nel suo racconto uno ha per soggetto i magi, uno la moglie di Pilato (Mt 27,19) e quattro Giuseppe, lo sposo di Maria.
Come mai tutti questi sogni nei racconti dell’infanzia e come mai Giuseppe ne è il principale protagonista?
I racconti dell’infanzia di Gesù in Matteo sono un intreccio di progetti, speranze, paure… Ci sono i progetti di Giuseppe riguardo alla sua vita e alla sua famiglia.
Egli avrebbe preso con sé Maria sua sposa e avrebbero vissuto una vita comune, simile alla vita di tante famiglie ebree del tempo. Ci sono le paure e i timori dei grandi che sono aggrappati al loro potere e vedono minacce dietro ogni angolo.
Per difendere il loro potere essi giungono a compiere i gesti più efferati, come la strage dei bambini di Betlemme. Ma poi ci sono anche i progetti di Maria, il desiderio dei magi, i futuro dei bambini uccisi a Betlemme… e tutto sembra essere totalmente giocato su un piano orizzontale, tutto sembra essere – proprio come nella storia di Giuseppe d’Egitto – nelle mani dell’uomo e del più forte e i piccoli e i
poveri sembrano solo soccombere. Ma “i sogni” ci rivelano che non è tutto lì.
I sogni di Giuseppe lo sposo di Maria sono inviti a “non temere”, ad andare avanti… spesso sono inviti a “prendere con sé” Maria e il
bambino con tutto ciò di misterioso e di inspiegabile essi portano in loro. Un invito a non temere di “prendere con sé”, ad accogliere i nostri sogni, tutto ciò che ci neghiamo perché crediamo impossibile e irrealizzabile.
I sogni nella bibbia ci insegnano a non temere i desideri di vita che abitano i nostri cuori, ma a “prenderli con noi” per lasciare poi che “nel sogno di Dio” essi possano trovare un orizzonte di lettura più ampio, un piano che va al di là della puro orizzontalità.


Riflessione sul Credo

...Continua

La paternità di Dio emerge dalla storia dei rapporti di Dio con Israele
La Bibbia (questo libro dove non si discute in astratto di Dio, ma dove si racconta il comportamento di Dio verso il suo popolo) ci dice che è stato Dio stesso a prendere l’iniziativa di farsi conoscere, ad offrire all’uomo una immagine viva e dinamica di sé stesso.
Ad Israele Dio si rivelò come l’unico Signore. Lo leggiamo in Es. 20,2-3: “io sono il Signore, tuo Dio. che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile: non avrai altri dei di fronte a me.”
A Mosè Dio rivelò il suo nome:”Io sono Colui che è”(Esodo 3,16) cioè io sono Colui che è sempre presente. E Israele ha potuto sperimentare sempre questa continua presenza, affidabilità, fedeltà di Dio nella sua storia. Il Dio che si rivela nella storia, che passa davanti a Mosè è un Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà.
Isaia ( 63,15-16), il profeta della consolazione di Israele dice:”Tu, Signore, sei nostro padre, da sempre ti chiami nostro redentore….dov’è il fremito della tua tenerezza e la tua misericordia”; e ancora” si dimentica forse una donna del suo bambino…..Ma anche se queste donne si dimenticassero , io non mi dimenticherò mai….Ecco ti ho disegnato sul palmo della mano”( Is49,15-16)

Ma la massima rivelazione di Dio come Padre emerge soprattutto nella storia di Gesù con gli uomini.

E’ stato Gesù ad aprirci una finestra sull’intimità di Dio.
E non ce ne ha parlato come un Dio generico, fumoso,  astratto, come una forza anonima, una energia cosmica impersonale, ma come una persona, un  Padre che ci dona la vita e provvede a noi:”quando voi volete pregare dite così: Padre nostro….” (è Padre anche se sappiamo bene che noi non abbiamo quella relazione assolutamente unica che compete solo a Lui).
Rivolgersi a Dio con il titolo di Padre era una cosa piuttosto infrequente nel giudaismo.  E quando i suoi ascoltatori avranno sentito quella parola sarà preso loro un colpo: come? Yahvè, il Signore, il Santo, l’Inaccessibile è tuo padre?. Gesù va più in là, lo chiama Abbà, papà, un termine  che faceva parte del linguaggio familiare dei bambini.
Ma è attraverso la Parabola del Figliol prodigo e del Padre misericordioso, che ci ha rivelato tutto ciò che ci serviva per conoscerlo appieno.
Un giorno, mentre Scribi e Farisei mormoravano contro Gesù perché riceveva i peccatori e mangiava con loro(Lc,15,2) si avvicinarono a Lui un gruppo di pubblicani. E Gesù per non deluderli raccontò loro tre parabole presentando Dio, il Padre, come un pastore che trova la pecora smarrita; come una donna che recupera la sua monetina, persa tra le pietre sconnesse del pavimento; ma soprattutto come un padre che lascia suo figlio partire per un paese lontano, dove si riduce in miseria. Non aveva capito nulla: non aveva ancora capito che il Padre è padre al di là delle colpe.

Cosa intende dire Gesù quando presenta Dio come Padre degli uomini?
Intende attribuire a Dio tutta una serie di esperienze positive che sono collegate con la paternità umana. Chi è un Padre?
Un padre non è padre solo perché è all’origine della vita di un figlio, ma perché è impegnato nella sua crescita e nel suo sviluppo:
   *    è padre perché vuole essere vicino al proprio figlio con una continua serie di attenzioni, scelte, interventi anche severi;
   *    è padre perché sa infondere sicurezza e fiducia;
   *    perché aiuta a diventare più libero e responsabile, meno condizionato dai propri capricci e dai capricci degli altri;
   *    è padre colui che riprende 100 volte ma che 100 volte mi perdona.
Può anche darsi che non tutti i figli abbiano avuto un rapporto felice con i propri genitori, ma è altrettanto vero che se ci fosse qualcuno che non ha avuto la fortuna di sperimentare l’amore di un padre umano si può sempre dire che Dio non è un padre ma è il Padre e in Lui abbiamo la possibilità di guarire da tutte le esperienze frustranti della paternità umana.

Allora Dio ci è padre perché…
   +    perché ha voluto la nostra vita e quella del mondo intero; io non sono più una nullità immersa nel cosmo e nel vortice della storia, ma una persona precisa, voluta, cresciuta, amata da Dio stesso.
   +    il mio futuro, quello che sogno o che costruisco pazientemente è stato predisposto da Lui con amore.
   +    perché si prende cura di noi aprendoci continuamente gli occhi per farci crescere moralmente e spiritualmente;
   +    Dio è padre soprattutto perché si prende cura dei buoni e dei cattivi; perdona e accoglie in casa di nuovo i figli ribelli. La parabola del Figliol prodigo dovremmo meditarla a lungo per comprenderla in profondità.
   +    perché ci ha affidato una missione che dà un senso a tutta la nostra vita;
   +    perché vuole che la mia vita non sia preceduta e seguita dal nulla ma che sconfini nella felicità eterna.

Paternità è sinonimo di una straordinaria potenza d’amore e di misericordia.

Continua...

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