2013 / Domenica 17 Novembre 2013

domenica 17 novembre 2013


Carissimi
    iniziamo il secondo capitolo della nostra riflessione sulla fede:



Io desidererei che tutti quanti voi che mi leggete vi poneste questa domanda: serve credere?
Quanto è importante credere? Cosa ci si guadagna a credere?
Parlando con qualche persona amica che si dichiarava atea o indifferente mi sono sentito dire: “beato te che hai fede, che ci credi”. 
Noi cristiani ci dichiarano beati, felici.
Se poi andiamo a cercare la risposta che dette Gesù agli Apostoli quando gli chiesero: ma venendo con te, cosa ci guadagniamo? E Lui che  gli rispose: ”avrete il centuplo e la vita eterna”, dovremmo fare salti di gioia, dovremmo sentirci più che fortunati. Ma noi credenti ci domandiamo dove sta tutta questa beatitudine, questa felicità:


se sono più i giorni neri che ci vanno di traverso,
se non riusciamo a tenere lontane malattie e disgrazie,
se non riusciamo a controllare le nostre miserie umane,
se questo non lo posso fare, lì non ci posso andare, quella rivista non la posso leggere, quell’uomo/donna non lo posso tradire, di quella cosa non me ne posso approfittare,
se nonostante la fede non riesco a risolvere i miei bisogni quotidiani né i miei problemi.

Allora: serve credere?

Abbiamo buone ragioni per credere, anche se queste buone ragioni non sono mai sufficienti per obbligarci a credere: arriva sempre un momento in cui tocca a noi decidere se credere o non credere. 
Credere è importante perché la fede cambia la nostra vita.


Chi crede conosce  da dove viene e dove va. Il cristiano non costruisce la propria identità irrigidendosi su sé stesso, ma aprendosi prima di tutto a Dio. Accettando Dio riconosce il suo essere creatura ( e quindi la propria fragilità, inconsistenza ). Ma pensando a cosa Dio ci chiama, alla collaborazione e all’eternità, riconosce anche la sua grandezza e la sua consistenza.
Chi crede cambia il suo modo di vivere:  se riconosco che c’è un Dio che ci ha dato delle regole secondo le quali vivere, io devo   assoggettarmi a queste regole, non posso pensare di essere io la regola di tutto: non posso più rubare o mettere di mezzo. Lo faccio ugualmente, cerco di non farmi scoprire, di non farmi prendere, ma il disagio mi perseguiterà.
Cambia il proprio atteggiamento nei confronti della vita: per alcuni la vita è il frutto di un incidente biologico. Ma allora non serve a niente cercare lo scopo e il senso ultimo della mia vita, perché non c’è. Per il cristiano la vita  non è sua ma è un dono di un Altro. E allora che argomenti validi ho per giustificare l’aborto, l’omicidio, l’eutanasia, il genocidio, o la morte di milioni di esseri umani affamati’
Cambia il proprio atteggiamento verso i beni materiali: la società cerca di convincerci che la vita di una persona vale nella misura dei beni posseduti. E così il desiderio smodato, l’arraffare a più non posso diventa un’abitudine di vita. Gesù ci mette in guardia contro la cupidigia  e ci suggerisce la sobrietà e la solidarietà.
Chi crede, nel campo delle relazioni sociali e industriali, non considera gli altri come dei rivali, dei concorrenti, dei nemici, la controparte ma dei fratelli. E quindi dovrà prendersi cura di tutti  e di ciascuno anche dentro età e situazioni di vita diverse.( Ai datori di lavoro di Efeso 6,9 San Paolo diceva:” siate onesti con i vostri sottoposti. Lasciate da parte le minacce e ricordate che per loro, come per voi, c’è un unico padrone in cielo”. Agli operai diceva” lavorate con onestà per i vostri datori di lavoro. Non imbrogliate, sperando che qualcuno altro lavori per voi…”)
Chi crede, vive in modo diverse le proprie relazioni familiari: finché il matrimonio era visto come una partita a tre, fra Dio l’inventore e i due coniugi, le coppie avevano un ottimo motivo per rimanere legati l’uno all’altro: dovevano cercare di superarsi nell’amore e nel sacrificio di sé. Ma oggi che Dio è uscito di scena, cosa regna all’interno della coppia? regna sovrano l’egoismo; marito, moglie e figli pensano unicamente ai propri affari e cercano di affermare i propri diritti.
Chi crede cambia il proprio atteggiamento anche nei confronti della morte. Nella società di oggi la morte è diventata un tabù, un argomento da non toccare ( come una volta il sesso ). Ma non c’è da meravigliarsi se la morte, invece che essere pensata come un passaggio doloroso  ma sempre passaggio verso una dimensione eterna, è intesa come l’estinzione finale di quell’elemento insignificante che è il mio Io.
Chi crede ha fiducia nell’amore di Dio anche nei momenti difficili, perché sa che Lui è un padre che non esaudisce sempre i nostri desideri, ma porta sempre a compimento le sue promesse. Per questo non abbandona mai i suoi figli.

Per queste ed altre considerazioni io dico che credere serve. (È una brutta espressione dire che Dio serve. In questo modo Dio sarebbe un oggetto che io posso usare a mio piacimento. Ma aiuta a capire).

Credere serve


perché senza Dio non possiamo essere veri uomini;
perché Gesù Cristo è l’unico che valorizzi al massimo le nostre potenzialità, quelle buone.; è l’unico che  ci spinge a fare della nostra vita un qualcosa di utile per noi e per gli altri;
perché Cristo è l’unico che, a differenza di tanti “sapienti” ci ha fornito la chiave per interpretare tutta la realtà che ci circonda. E anche quando ha lasciato dei punti oscuri, come la sua sofferenza e morte, con il suo esempio ci ha insegnato a viverli dando loro un senso in vista di un obiettivo preciso.

Da queste osservazioni comprendiamo come la fede non è un rifugiarsi in sogni tranquilli, una risposta rassicurante alle nostre inquietudini, un concentrato di aspirazioni umane sublimizzate. La fede mette in movimento…non lascia mai tranquilli, non ci lascia mai seduti in una comoda poltrona
Un giorno un politico entrò in Chiesa e vide tanta gente a pregare. Disse al frate:” se pregano  siamo a posto!”. “eh no!” fu la risposta del    monaco:” se pregano, non siamo più a posto, se pregano siamo fritti!”. Voleva dire che Lui ti prende come sei ma ti trasforma come vuole Lui. Sta sempre a noi a rendere la fede pericolosa, sovversiva nel senso di rinnovatrice”.
Sta a noi mostrare e dimostrare che le proposte che vengono dalla fede vengono incontro ai bisogni e alle attese profonde dell’uomo.

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