Esortazioni / Da Paolo Vi A Francesco

DA PAOLO VI A FRANCESCO
Mezzo secolo fa veniva eletto papa Montini. È stato lui a dare l'impronta ai pontificati successivi. E tanti sono i fili che legano quel 21 giugno 1963 a oggi.

Da Paolo VI a Francesco, una certa idea di Chiesa

«Il cristianesimo – diceva Paolo VI – non è facile, ma è felice». La frase mi è tornata in mente quando ho sentito che papa Francesco, durante una messa del mattino a Santa Marta, ha detto che credere in Gesù e nel suo sacrificio d’amore «è da pazzi, ma è bello».
Papa Montini veniva eletto mezzo secolo fa, sotto il sole di un 21 giugno forse non caldo come oggi, ma già di piena estate. Era il favorito, per cui non ci furono sorprese. Ma le sorprese le riservò lui alla Chiesa. Fu un grande semplificatore, nel segno della sobrietà. Ridusse l’apparato curiale, riformò il governo centrale, tolse gli orpelli del passato. Predicò e visse l’essenzialità evangelica. Il che gli procurò anche critiche, perché fu subito facile accusarlo di essere un po’ troppo triste e contrito, ma lui, attento ai segni dei tempi, andò per la sua strada. E condusse in portò la navicella del Concilio quando sembrava che dovesse naufragare sugli scogli, dopo la perdita del nocchiere Giovanni.
I pontificati successivi al suo non sono comprensibili se non si parte da Paolo VI. È stato lui a dare l’impronta. Pensiamo, oltre al messaggio della sobrietà, ai viaggi che Montini intraprese, tracciando la strada che sarebbe poi stata seguita da Giovanni Paolo II.
E come dimenticare l’Ecclesiam suam del 1964 e l’Evangelii nuntiandi del 1975, con quell’esortazione, rivolta alla Chiesa, di uscire verso il mondo e di entrare in dialogo con tutti? Evidente è il filo che collega quelle riflessioni all’attuale insegnamento di papa Francesco, il quale, non a caso, chiede così spesso alla Chiesa e a tutti i cristiani di aprirsi, di uscire, di andare verso le periferie, e non si stanca di raccomandare a preti, religiosi e vescovi di non essere funzionari del sacro ma autentici uomini di Dio e pastori con l’odore delle pecore addosso.
Il legame tra Giovanni Battista Montini, che fece gli studi ginnasiali dai gesuiti, e il primo papa gesuita è evidente anche in alcune scelte. Così come Francesco ha chiesto agli amici argentini di non venire a Roma per la messa inaugurale del pontificato, così da destinare il denaro non al biglietto aereo ma ai poveri, Paolo VI chiese alla sua diocesi, come regalo per l’elezione, di fondare e mantenere in vita una missione in Africa, in Burundi. E non è certamente un caso che il papa argentino abbia scelto il suo semplice anello pontificale fra quelli che erano stati donati a papa Montini.
Quanto poi alla rinuncia di Benedetto XVI, che ha aperto la strada alla “rivoluzione” di Francesco, è bene ricordare che proprio Paolo VI pensò seriamente alle dimissioni.
Tanti fili, insomma, collegano quel 21 giugno 1963 a oggi. E sono tutti importanti.

Aldo Maria Valli

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